RUGGERO PASSERI

FESTA (2022)

È molto raro che io scatti foto in cui non compaiono persone. Capita quindi che quando, come ogni anno, andiamo in vacanza nella medesima cittadina dell’Adriatico, io mi lasci coinvolgere volentieri dalla consueta festa locale d’agosto, che richiama da ogni parte migliaia di persone che arrivano lì desiderose di travestirsi, ridere, ballare, divertirsi. Io, che tutto sommato sono un temperamento solitario, mi aggiro tra la folla colorata e mi guardo attorno. Le feste, si sa, sono un modo per uscire dal nostro vivere quotidiano, da noi stessi, dai nostri problemi. Il carnevale, un tempo, era il momento magico in cui i poveri potevano vestirsi da ricchi e i ricchi godevano nel vestirsi da poveri. Perché in fondo, si sa, a volte anche fingere aiuta a vivere.
Passeggio a lungo immerso nella musica e osservo gli altri con curiosità e, credo, con affetto. Li guardo ballare, mangiare, abbracciarsi, a volte innamorarsi. Qualcuno, magari, che è uscito da solo si ritrova verso mezzanotte seduto da una parte a guardarsi intorno. Qualcuno si stanca di girare e si mette da una parte, ordina una birra o un gelato, e poi riparte nella mischia. Bisogna muoversi, fare, sentirsi vivi. La festa va avanti e ci rende tutti uguali: il ballerino e l’uomo in sedia a rotelle, il ragazzo down che balla da solo e ride al centro della piazza e il ragazzo con la camicia a fiori, il matto del paese e la più bella della spiaggia. Si passeggia tra le bancarelle, si comprano piccole cose inutili, si attende che la musica finisca, tirando avanti fino a tardi. Poi, la mattina, tutti nuovamente in spiaggia, ad aspettare la sera e a pensare a cosa indosseremo per sentirci unici e diversi. La vacanza va avanti, è estate e siamo, tutto sommato, quasi felici tutti, uomini e donne, vecchi e bambini.
O forse no: perché un sottile velo di stanchezza e di malinconia si posa sempre su ogni festa, e ognuno di noi lo percepisce, perché dentro di sé intuisce che l’illusione che abbiamo costruito non riuscirà mai a guadagnare la consistenza della realtà.
Osservo le mie fotografie e stranamente ho l’impressione che le mie immagini, per loro natura ingannevoli come ogni fotografia, stavolta mi abbiano invece raccontato la realtà: la fugacità di ogni festa, la fragilità che appartiene alla natura umana.

It is very rare that I take pictures in which people do not appear. So it happens that when, as every year, we go on vacation to the same Adriatic town, I get involved happily by the usual local August festival, which draws from all over thousands of people who arrive there eager to dress up, laugh, dance, have fun. I, who all in all am a lonely temperament, wander through the colorful crowd and look around. Feasts, you know, are a way to get out of our daily lives, out of ourselves, out of our problems. Carnival, once upon a time, was the magical time when the poor could dress up as the rich and the rich enjoyed dressing up as the poor. Because after all, you know, sometimes even pretending does help to live.
I walk for a long time surrounded by music and watch the others with curiosity and, I think, affection. I watch them dance, eat, hug, sometimes fall in love. Someone, maybe, who has gone out alone, around midnight ends sitting off aside and looking around. Someone else gets tired of wandering around and stands on one side, orders a beer or an ice cream, and then moves off again into the fray. Gotta move, gotta do, gotta feel alive. The party goes on and makes us all the same: the dancer and the man in the wheelchair, the down boy dancing alone in the middle of the square and the boy in the flowered shirt, the town madman and the prettiest girl on the beach. You stroll among the stalls, buy little useless things, wait for the music to end, pulling on until late. Then, in the morning, everyone is back on the beach, waiting for the evening and thinking about what to wear to feel unique and different. The vacation goes on, it's summer and we are, all in all, almost happy all of us, men and women, old people and children.
Or maybe not: because a thin veil of weariness and melancholy always rests on every holiday, and each of us can sense it, because inside ourselves we sense that the illusion we have built will never be able to gain the consistency of reality.
I look at my photographs and I strangely feel that my images, by their nature as deceptive as all photographs, this time have instead told me the reality: the elusiveness of every celebration, the fragility that belongs to human nature.

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